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Riflessioni sull'aggiornamento del modello 231per la prevenzione del reato di auto-riciclaggio


L’intervento di aggiornamento dei modelli 231 al nuovo reato di autoriciclaggio: un approccio realistico.

Superato lo scoglio dogmatico del “ne bis in idem”, il Legislatore con la legge n. 186/2014 ha introdotto con l’art. 648-ter 1 c.p. il nuovo delitto di Autoriciclaggio. Non ci soffermeremo, in questa sintetica riflessione, sui caratteri e i contenuti della norma, già ampiamente approfonditi nei precedenti numeri della Circolare 231. Sarà sufficiente ricordare che si tratta di un reato proprio (l’autore è individuabile per relationem rispetto alla commissione o al concorso nella commissione del reato-fonte), pluri-offensivo e caratterizzato da dolo generico. La norma (volutamente) non definisce un numerus clausus di reati-fonte, rispetto ai cui proventi illeciti venga realizzata la condotta tipica di re-immissione nel circuito economico lecito con concreto ostacolo alla loro identificazione. Condotta che configura un reato autonomo e non un “post factum”. Conseguentemente, spetta all’operatore effettuare una ricognizione dei possibili delitti che, nel proprio contesto aziendale ed operativo, possano costituire il presupposto necessario della successiva azione di money laundering. Il dettato normativo non è privo di opacità lessicali, di aspetti problematici e di un deficit di dosimetria edittale, operata in funzione della gravità del reato-fonte. Un discorso a parte merita l’ermeneusi del 4° alinea, che considera il godimento personale dei proventi illeciti quale causa esimente da punibilità. Prescrizione che sta alimentando un dibattito dottrinario tra chi la considera superflua e ripetitiva, chi la sminuisce ad ipotesi di applicazione residuale (“Fuori dei casi di cui ai commi precedenti”) e quanti la ritengono provvidenziale contenimento dell’afflittività della fattispecie ordinaria del 1° comma. In ogni caso, c’è da presumere che costituirà l’“exit strategy” privilegiata in sede difensiva. L’impatto che la novella legislativa può produrre - amplificato dall’art. 3, 5° comma che dispone l’inserimento del reato de quo nel Catalogo dei reatipresupposto ex D.Lgs. n. 231/2001 - è importante per una serie di ragioni. Ne consegue la legittima preoccupazione di quanti intendano integrare i propri Compliance programs con strumenti di prevenzione di tale reato.

Certo, il testo normativo non aiuta: alcuni elementi del paradigma presentano un significato incerto; appare articolata e complessa la condotta criminosa richiesta; difetta la tipizzazione del reato a monte. Lo stato di incertezza - invero, superabile solo col futuro vaglio giurisprudenziale - sta dando la stura a letture diremmo “stressogene” da parte dei primi commentatori, che raccomandano verifiche analitiche e omnicomprensive di ogni possibile potenzialità di reato, nonché l’attivazione di strumenti special-preventivi “a pioggia”. Va altresì registrata la posizione di talune lobby, ieri contrarie all’introduzione dell’art. 648-ter 1 c.p., oggi preoccupate dal paventato rischio di excessive control. A nostro parere è praticabile una ermeneusi della norma che, senza essere minimalista, valorizzi alcuni importanti fattori di rilievo pratico-applicativo. Partiamo dalla collazione dei testi degli articoli 648 bis e 648 ter 1 c.p.. Appare evidente, al netto del superamento della c.d. “clausola di riserva” e dei connotati dell’articolata e qualificata condotta richiesta per realizzare l’autoriciclaggio, che le due fattispecie presentano un costrutto, se non perfettamente sovrapponibile, certamente equivalente. Di talché, quanti abbiano già implementato un MOG dotato di una sezione dedicata al preesistente art. 25-octies, potranno agevolmente integrarla, orientando l’azione prevenzionale anche al reimpiego dei proventi illeciti non ad opera di un soggetto terzo (riciclatore), bensì in self-laundering. Mette conto, poi, di ricordare che il dettato dell’art. 6, comma 2, lett. c) del D.Lgs. n. 231 raccomanda da sempre la definizione delle “modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati”. Nell’intervento di aggiornamento del MOG in chiave anti-autoriciclaggio, certamente il baricentro risulta costituito dalla mappatura delle potenzialità commissive. Il censimento e la ponderazione di tali rischiosità impone, a monte, l’identificazione delle potenzialità commissive del reato-fonte, il cui provento illecito possa essere reimpiegato ad opera dell’autore (o del concorrente). Operazione dalle considerevoli ricadute pratiche, stante l’omessa tipizzazione legislativa del reato-fonte, di cui viene solo dichiarata la natura non colposa. Permettendo, comunque, di liberare il campo dalle ipotesi di contravvenzione e di delitto colposo.

Orbene, riteniamo che l’Assessment di tali rischiosità non possa pretendere il checking analitico ed esaustivo di ciascuna fattispecie ricompresa nel Codice penale (nemo ad impossibilia tenetur…). Neanche limitando il range della verifica alle sole fattispecie ipotizzabili sulla scorta dei connotati identificativi e peculiari dell’ente empirico (i.e. forma giuridica, linea di business, assetto di governance, aspetti dimensionale ed operativo, ecc.). Una sorta di tipizzazione ab externo delle specie di reato-fonte va comunque profilandosi. L’ipotesi più “gettonata” risulta il reato tributario (che resta estraneo al Catalogo 231, in ossequio al principio di legalità dell’art. 2 del decreto), nonostante le problematiche ermeneutiche connesse al distinguo tra “ricavo illecito”e semplice “risparmio d’imposta”. Ma le fattispecie criminogene rispetto all’autoriciclaggio restano numerose. Muovendo dal numerus clausus 231, potremmo citare le false comunicazioni sociali (art. 25-ter); la truffa ai danni dello Stato e la corruzione (artt. 24 e 25); i delitti ambientali (art. 25-undecies); la contraffazione di marchi e segni distintivi (art. 25-bis); il market abuse (art. 25-sexies); le violazioni del diritto d’autore (art. 25-novies). Elenco destinato a subire un’automatica espansione allorché il Legislatore integrerà il catalogo con nuovi reati (non colposi). Sul fronte codicistico, le fattispecie (non rilevanti ex 231) sono a mò d’esempio i reati doganali, quelli fallimentari, l’appropriazione indebita, oltre al già evocato reato tributario. In ogni caso, valga evidenziare che l’Assessment rispetto all’art. 648-ter 1, oltre a dover considerare le concrete caratteristiche dell’ente empirico, dovrà accertare la ricorrenza delle condizioni di imputabilità dell’ente collettivo. Pertanto, a prescindere dalla tipologia di reato-fonte, l’autoriciclaggio potrà generare l’illecito dell’ente solo qualora sia contestabile un suo deficit organizzativo e le condotte tipizzate dalla norma vengano realizzate da un soggetto organico, nell’interesse/vantaggio della societas. Eppoi, quand’anche l’impegnativo screening di ciascuna tipologia di reatofonte non fosse praticabile, ovvero risultasse non esaustivo, l’azione cautelare ex 648-ter 1 potrà essere focalizzata sull’altra condotta coessenziale alla realizzazione dell’autoriciclaggio: l’azione di ostacolo (causalmente efficiente) all’identificazione della provenienza delittuosa dei proventi del (primo) reato.

E passiamo, appunto, all’altra operazione richiesta per l’aggiornamento del Compliance Program al delitto di autoriciclaggio: l’elaborazione dei Protocolli Speciali. Siamo dell’avviso che tale operazione non comporti soverchie difficoltà. Intanto, un supporto in chiave special-preventiva potrà derivare dai Modelli 231 vigenti. Pensiamo, a tacer d’altro, alle sezioni volte a prevenire i Reati nei confronti della P.A. (art. 25), sub species della Corruzione attiva. E’ evidente che il contrasto ai comportamenti corruttivi verso esponenti pubblici (o soggetti privati), si estrinsechi nell’impedire la costituzione e l’utilizzo da parte dell’ente di fondi extra-contabili, disponibilità queste frutto, appunto, della commissione di un reato-fonte. Ulteriori cautele - di più ampia portata, giacché destinate a prevenire non solo reati, quanto manifestazioni di mala administration - potranno risultare dai Piani Anticorruzione ex l. n. 190/2012 c.s.m. (coordinati al MOG), elaborati ad es. dagli “organismi privati in controllo pubblico” che risultino espressamente assoggettati alla normativa del c.d. “Pacchetto Anticorruzione”, ovvero lo siano in virtù dell’interpretazione “inclusiva” datane dall’ANAC. Preziose indicazioni vengono offerte anche dalle Linee guida di Confindustria (aggiornate al marzo 2014), sebbene le misure in esse suggerite si riferiscano alla prevenzione del reato di riciclaggio (art. 648- bis). Ciò nondimeno, rivestono attitudine cautelare anche rispetto all’autoriciclaggio: la verifica della provenienza delle somme di denaro; la selezione dei fornitori di beni e di servizi e dei partners; la tracciabilità e trasparenza contabile; la segregazione delle funzioni/responsabilità nella gestione di determinati processi; la tenuta di rapporti con taluni soggetti; la definizione dei poteri autorizzativi per gli investimenti; la verifica delle motivazioni e condizioni delle operazioni di straordinaria amministrazione. Nelle organizzazioni complesse, come i Gruppi societari - ancor più se multinazionali – concorreranno all’azione prevenzionale anche i tipici presidi, come la definizione della Policy del transfer price, il monitoring dell’erogazione dei servizi infra-gruppo, la politica degli investimenti, la disciplina degli accordi di joint ventures. Oltre alle istruzioni delle Associazioni categoriali di rilevanza nazionale, un autorevole supporto tecnico è atteso dal Ministero della Giustizia, sentita l’Unità di Informazione Finanziaria, a mente dell’art. 25 octies, 3° alinea.

Da ultimo, seppur circoscritto ad un ambito settoriale, riteniamo che l’aggiornamento in parola sia agevolato rispetto all’ampia categoria dei destinatari del D.Lgs. n. 231/2007. Trattasi degli Intermediari finanziari e degli eterogenei soggetti (artt. 10-14) che già utilizzano MOG conformati alle prescrizioni del decreto del 2007 (i.e. adeguata verifica della clientela, identificazione delle operazioni sospette, ecc.), alle istruzioni impartite dalle Authority e alla normativa regolamentare. In conclusione, siamo dell’avviso che i molteplici fattori (interpretativi e di supporto applicativo) qui solo richiamati, se non qualificano come minimalista il restyling dei Modelli “231” a presidio del rischio di autoriciclaggio, suggeriscano una lettura realistica e rassicurante della norma a quanti debbano cimentarsi nella ”ardua impresa”.

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